L'Italia e la crisi Libica
La situazione in Libia è sempre più confusa, o almeno così appare agli occhi di chi, come il sottoscritto, non può che basarsi sulle poche informazioni che ha a propria disposizione. Dopo una prima fase di prudente titubanza, il nostro Paese si è lasciato coinvolgere nel conflitto libico in modo più sostanziale, ma questo impegno non deve andare oltre misura. Il ruolo dell'Italia in questa vicenda dovrebbe rimanere di tipo primariamente umanitario, con la concessione delle basi aeree ai fini di applicazione delle risoluzioni ONU e con la gestione dell'inevitabile flusso di profughi che non venendo più ostacolati da Gheddafi affluiranno copiosi anche dall'Africa subsahariana (e di cui ovviamente anche tutti gli altri Paesi europei dovranno farsi carico!). L'Italia quindi è già in prima linea nella vicenda, senza alcun bisogno di un nostro impegno militare diretto sul campo di battaglia (un atto che fra le altre cose sarebbe anche in contrasto con i nostri principi costituzionali); anche perché se il conflitto non volge nettamente a favore di una delle due fazioni è necessario capire se si tratti solo di uno stallo militare o anche politico. Nel secondo caso, infatti, se la caduta di Gheddafi (che ad oggi sembrerebbe possibile ma che non è poi così scontata) avvenisse per intervento esterno anziché per mano dei libici, si rischierebbe di trasformare quella regione in una nuova Somalia. Il rimuovere una dittatura non significa automaticamente veleggiare felici verso la democrazia, un fatto che è sempre bene tenere a mente.
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