Verso un'economia immateriale
I circa duecento anni trascorsi dall'inizio della Rivoluzione Industriale ad oggi hanno condotto le economie più avanzate ad assumere la loro conformazione odierna, fra le cui caratteristiche più salienti vi è la produzione in massa di beni di largo consumo. Da qualche tempo queste stesse economie stanno subendo un nuovo e non meno profondo cambiamento: il progressivo spostamento del valore di un prodotto dalle componenti materiali a quelle immateriali: l'idea, il marchio, l'esclusiva. Marchi, brevetti e copyright sempre più spesso arrivano a contribuire in maniera determinante al valore complessivo di una azienda o di una attività, e specie per quei settori la cui produzione è essenzialmente di natura immateriale, come l'editoria, la creazione di film, musica e software, essi ne costituiscono pressoché l'intero valore.
Questo fenomeno ha implicazioni socioeconomiche profonde: l'applicazione del concetto di proprietà alla sfera immateriale, se non adeguatamente delimitato, può mettere a repentaglio libertà individuali e diritti fondamentali che nelle democrazie evolute sono da lungo tempo costituzionalmente garantiti, quali la libertà di espressione e, attraverso meccanismi che potremmo definire di esproprio preventivo, il diritto di proprietà medesimo.
Strettamente connessi con le ricadute sociali di una economia immateriale, cioè di una economia delle idee, vi sono i temi che riguardano la libertà di espressione e circolazione delle idee medesime, ossia la libertà dei mezzi usati per comunicarle. Se un tempo quei mezzi si chiamavano carta e penna, poi carta stampata ed infine mass-media, oggi si chiamano sempre più e-mail, siti Web, Blog, Wiki, P2P e quant'altro; in una parola: la rete Internet nelle sue molte forme, dalla cui libertà dipende la libertà di comunicare, e da quest'ultima dipende la libertà tout-court.
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