Il declino dell'Italia
Il percorso dell'Italia verso il declino sembra ormai inarrestabile. Le responsabilità del disastro sono numerose e a molti livelli. Una classe politica, dirigente ed imprenditoriale avida e priva di lungimiranza, animata unicamente da una concezione spartitoria del potere, hanno portato il Paese ad un punto che parrebbe di non ritorno, almeno non nel contesto di un sistema basato sul consenso, cioè di un ordinamento democratico. Ma se "chi comanda" ha portato il Paese nel burrone, ciò non assolve quelle larghe fette di società civile che sono state rese corresponsabili del fallimento offrendo loro "droga di Stato" e rendendole dipendenti da essa, con l'elargizione di grandi quantità di denaro non dovuto, di ingiustificati e macroscopici privilegi, di pensioni pressoché indipendenti dall'entità dei contributi versati, e da tante altre forme di acquisizione del consenso politico perpetrate a suon di denaro pubblico, cioè dei quattrini di tutti noi, quattrini che ora sono drammaticamente finiti. Del resto, in un sistema basato sul voto, "ognuno ha il governo che si merita" e gli Italiani sono la prova provata di quanto questa frase sia vera. Il nostro declino è quindi soprattutto morale (con i peggiori esempi che ci vengono proprio dai vertici della piramide), e quello economico ne è la conseguenza, come la storia ci insegna.
Le colpe sono a tutti i livelli e in tutte le fazioni, ma una responsabilità particolare io la attribuisco ad una certa sinistra, che nei decenni ha agito con determinazione per portare all'eliminazione del merito ed all'annullamento dell'autorità, spacciando l'appiattimento per equità, con i risultati tragici che possiamo vedere in molti ambiti, primo fra tutti quello che dovrebbe rappresentare l'istituzione per eccellenza, cioè la scuola pubblica. Una scuola che ancor più che in passato è chiamata ad affrontare compiti particolarmente difficili, come quello di favorire la convivenza multietnica e multiculturale, e che invece grazie alla sostanziale eliminazione del merito, della disciplina e dell'autorità dal proprio profilo finisce con produrre l'esatto contrario.
Io penso che Mario Monti abbia fatto male ad entrare così palesemente in politica, perché questo ne ha compromesso una parte sostanziosa della credibilità che la sua figura inizialmente ispirava. Tuttavia, se egli ha deciso per questo passo, poteva almeno scegliere meglio i suoi compagni di strada, tenendosi a debita distanza da coloro che oggi lo circondano e lo incensano, che occupano la scena politica da decenni senza alcun ricambio, e che sono fra i maggiori responsabili dell'attuale disastro, oltre che portatori di una concezione tutt'altro che laica dello Stato, un altro fattore che ha sempre fatto della democrazia Italiana una cosa anomala, e di fatto poco democratica in quanto segnatamente "confessionale", bigotta ma anche opportunista e incoerente. Così come Monti avrebbe dovuto tenersi alla larga da una certa "imprenditorialità di alto bordo", anche questa tipicamente Italiana, lontana anni luce da quella piccola e media impresa che da sempre costituisce la vera grande risorsa del Paese, portatrice di una concezione che con il tanto decantato libero mercato non ha molto a che spartire, una imprenditorialità abituata ad incamerare i guadagni e a nazionalizzare le perdite, e senza mai essere chiamata a rispondere dei propri misfatti, come peraltro i recenti scandali bancari ancora una volta confermano con disarmante evidenza.
Se Monti avesse voluto mantenere la propria credibilità, a costo di perdere "la poltrona", avrebbe fatto meglio a guardare altrove, ad esempio verso una delle uniche due formazioni che in questo momento stanno proponendo all'Italia una via nuova, e per certi versi drastica, come la situazione impone. Difficile pensare a un Monti come ministro dell'economia di Beppe Grillo, ma niente affatto difficile pensarlo invece al fianco di un Oscar Giannino, che con la sua lista Fare per Fermare il Declino propone in modo preciso e non demagogico un percorso per ottenere ciò che forse Monti aveva in mente quando accettò l'incarico di governo, e che non poté fare in quanto troppo condizionato dai partiti che lo sostenevano. Non che Grillo non mi stia simpatico, anzi, è proprio un certo populismo ciò che serve in taluni momenti (difficili) della vita di una Nazione, ma è quando i proclami devono tradursi in azioni concrete che l'approccio di Giannino assume un grande valore.
Io mi auguro che le imminenti prossime elezioni politiche possano davvero rappresentare una svolta, che mai come oggi sarebbe necessaria per tentare di affrancarci dal disastro incombente, ma purtroppo i peggiori nemici degli Italiani sono gli Italiani stessi, e temo che anche questa volta sapranno farsi da soli tutto il male possibile, votando nuovamente per coloro che hanno fatto dell'Italia il paese di quelli che pensano di essere i più furbi, e che invece sono solo i più vessati e tartassati da quello Stato che essi stessi si sono dati.
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