Scuola e tecnologia
In questi giorni la On. Mariastella Gelmini, Ministro della Pubblica Istruzione dell'attuale governo, ha detto che la scuola italiana deve favorire maggiormente lo studio della lingua Inglese e della tecnologia, intendendo per quest'ultima, immagino, soprattutto quella relativa alle nuove forme di comunicazione telematica, e quindi in sostanza di Informatica e di Internet; in pratica una riedizione delle famose "tre I" di morattiana memoria. Benissimo, concordo. Tuttavia, se l'obiettivo della scuola è ancora quello di formare le coscienze, insegnando ai ragazzi a pensare con la propria testa e ad essere non solo competenti ma anche, e soprattutto, donne e uomini liberi e consapevoli, l'obiettivo non può essere la tecnologia in quanto tale, quanto piuttosto la capacità da parte dei ragazzi, e quindi innanzitutto dei docenti, di distinguere fra la tecnologia in grado di realizzare la missione educativa della scuola e quella che invece non assolve a tale funzione, ed è quindi da rigettare. In altri termini, la tecnologia è buona e fa bene se favorisce una conoscenza libera ed aperta, mentre è cattiva e fa male se si limita a riproporre in versione elettronica vecchi schemi di accesso controllato alla cultura, schemi che si snodano lungo un percorso rigido che va da chi scrive i testi, a chi li redige, ed infine a chi li pubblica in forma cartacea e li immette sul mercato. Quest'ultimo, in particolare, forte della propria posizione di "rubinetto" della conoscenza, è in grado di condizionare pesantemente tutta la catena di cui sopra, decidendo in modo arbitrario, magari anche attraverso più o meno malcelate forme di "cartello", i valori economici in gioco e la velocità di obsolescenza programmata dei testi, facendo in definitiva dipendere dalle convenienze proprie o di categoria l'intero meccanismo di diffusione della conoscenza e l'opera educativa della scuola stessa.
Quindi, mentre la pubblicazione di contenuti in semplice formato HTML, fruibili da chiunque ed in qualunque luogo con mezzi comunemente disponibili, liberamente copiabili, modificabili e ridistribuibili a condizioni minime di copyright, costituirebbe un passo da gigante nella giusta direzione, l'adozione dei cosiddetti e-books ed altri dispositivi proprietari e specifici diversi da un comune programma di navigazione Web sarebbe un passo nella direzione opposta, ed una riproposizione in elettronico del vecchio libro cartaceo senza peraltro fornire almeno la stessa "utilità collaterale" in caso di ... impellenti necessità fisiologiche. Questi strumenti, oltre ad essere proprietari già a livello hardware e software, vengono normalmente dotati di contenuti anch'essi in formati chiusi, infarciti di restrizioni derivanti dai cosiddetti "diritti di proprietà intellettuale", che si vanno ad aggiungere alle già tante restrizioni imposte dal copyright sulle opere in essi contenute. In sintesi, questi strumenti sono solo peggio dei vecchi libri, se non per le aziende che li producono e che possono così assicurarsi lucrosi appalti in esclusiva verso una scuola le cui già scarne risorse finanziarie dovrebbero venire gestite in modo assai più parsimonioso, e soprattutto più produttivo rispetto agli obiettivi di cui più sopra. Sempreché questi obiettivi non siano cambiati ...
Se per tecnologia intendiamo quindi quella buona allora le parole del Ministro Gelmini vanno prese con molta considerazione, mentre invece se per tecnologia si intende semplicemente qualcosa basta che sia, purché funzioni a batterie, allora possiamo senza dubbio rispondere un no, grazie, perché di paper ce n'è già anche troppa, e non risolviamo nulla semplicemente chiamandola e-paper. Un libro o una lavagna "elettronici", i cui contenuti sono in formato chiuso, potranno ovviamente venire aggiornate con nuovi contenuti solo collegandosi al sito del produttore, dal quale si potranno scaricare solo libri non copiabili e che al termine dell'anno scolastico magari svaniscono da soli, eliminando in un sol colpo sia il problema delle copie che del mercato dell'usato; "problemi" che sono tali solo da punto di vista degli editori, ovviamente, ma l'atteggiamento di questi ultimi nei confronti delle tecnologie aperte è cosa nota.
Concludendo, quello che occorre non è tanto una generica maggior dimestichezza con la tecnologia da parte di insegnanti e studenti, quanto una più forte consapevolezza circa gli aspetti per così dire "epistemologici" della tecnologia stessa, per imparare a distinguere ciò che è buono da ciò che non lo è, e saper scegliere tecnologie libere ed aperte. Queste, fortunatamente, non mancano e sono anzi la maggioranza, come il successo planetario del web sta a dimostrare: sarebbe davvero un grave errore se nella scuola si adottassero invece soluzioni la cui unica caratteristica "tecnologica" è quella di funzionare a pile.
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