Anche in Italia, come già accaduto in alcuni altri paesi Europei, si sta pensando di vietare l'uso del burqa, adducendo a motivazione soprattutto motivi di sicurezza. In realtà il burqa è portatore di una concezione della donna (e quindi dell'essere umano) incompatibile con i principi fondanti del nostro vivere civile. Questo abbigliamento è frutto di una idea medievale della figura femminile, un'idea dalla quale abbiamo iniziato faticosamente a liberarci con la Rivoluzione Francese e non possiamo permettere che sforzi durati secoli vengano vanificati. Sono quindi le motivazioni che stanno alla base del burqa che vanno rigettate, un approccio molto più efficace al problema piuttosto che non il semplice (quanto complicato da realizzare) divieto a che esso venga indossato.
Chi viene in Europa dovrebbe innanzitutto essere chiamato a sottoscrivere ed accettare con atto pubblico quei principi fondanti ed irrinunciabili che hanno fatto dell'Europa una meta verso la quale si aspira e non un luogo da cui si fugge. Insieme alla richiesta del permesso di soggiorno dovrebbe quindi essere presentata anche la dichiarazione con cui si riconoscono ed accettano la laicità dello stato e la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, condizioni queste ancor più importanti di quelle di avere una dimora ed una occupazione nel Paese a cui si chiede accoglienza. Se si vuole eliminare un iceberg non basta demolirne la punta, perché questa riemergerà immediatamente per effetto della massa sottostante; è quest'ultima che va eliminata, e lo si può fare solo eliminando le condizioni che ne rendono possibile la formazione, ovvero innalzando la temperatura del mare. E per fare questo dobbiamo introdurre nell'acqua il "fattore L", come "Laicità", l'unico vero antidoto alla formazione dell'iceberg e al pericolo che esso rappresenta per la nostra navigazione. Purtroppo il fattore L è inviso innanzi tutto proprio a componenti interne alle nostre società, che ne ostacolano la presenza attraverso un forte condizionamento dell'azione dei governi.
Quando il nostro attuale governo dice che il burqa va contro la libertà individuale dice una cosa giusta, ma purtroppo non si può fare a meno di notare che in altre occasioni la libertà individuale non venga altrettanto difesa e sostenuta da questo stesso governo, come ha dimostrato l'atteggiamento di quest'ultimo nei confronti delle vicende di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro, come le conseguenti ipocrisie legislative riguardanti il testamento biologico sono lì a ricordarci, al pari di quell'altro campione di laicità rappresentato dalle norme sulla fecondazione assistita. Due pesi e due misure quindi, che indicano come nel nostro governo di "fattore L" in realtà ve ne sia piuttosto poco. Il vietare di indossare il burqa rappresenta quindi nei fatti un modo per eludere il vero problema, che è un problema di fondo che non si vuole affrontare perché produrrebbe una immediata levata di scudi da parte della Chiesa Cattolica e delle forze politiche che vi fanno riferimento.
I fondamentalismi religiosi non si combattono a suon di divieti bensì attraverso "iniezioni" di autentica laicità nella società e nell'azione dei governi. Dopodiché il burqa, che fa parte della punta dell'iceberg, se ne andrà da solo in quanto non più supportato da ciò che ci sta sotto. Che è precisamente ciò che in molti paesi Europei, ed in Italia in particolare, non si vuole ammettere.