Come mai non ha nevicato?
Il ruolo di venti a microscala nella nevicata del 7-8/12/2024
Cronaca dell'evento
La giornata di sabato 7 dicembre è stata caratterizzata da un moderato afflusso di aria artico-marittima in sede padana, e dal concomitante sopraggiungere di una perturbazione atlantica che, infrangendosi contro l'arco alpino, è riuscita a "deporre" un minimo di pressione sull'alto Tirreno, il quale ha prodotto maltempo in particolare sull'Emilia-Romagna. In questo frangente, la neve è riuscita fin da subito a conquistare le quote basse, raggiungendo in forma mista la pianura verso l'ora di cena, in netto anticipo sulla tabella di marcia. Sembrava dunque possibile una lunga notte di neve non più solo sui primi rilievi, bensì anche per le zone di pianura a sud del Po. Tuttavia, la definitiva trasformazione in neve, molto agevole fino alla fascia di pedecollina, ha richiesto alcune ore per attuarsi anche nell'ultimo lembo di territorio a sud della A21. Normalmente, le nevicate da rovesciamento, ovverosia quelle che si manifestano con un graduale abbassamento della quota neve per trasporto dell'aria fredda nei bassi strati, causano una lenta discesa della temperatura che subisce poi un'improvvisa accelerazione una volta varcata la soglia dei 2°C, per poi stabilizarsi verso lo 0°C.
Quest'ultimo rapido scatto verso il basso è provocato dall'arrivo graduale delle prime precipitazioni con una componente solida al loro interno: all'azione di rovesciamento del freddo verso il basso, si aggiunge così una sottrazione di calore dovuto al passaggio di stato da ghiaccio ad acqua dei miliardi di fiocchi di neve. Tanto più è intensa la precipitazione, maggiore è la velocità del tracollo termico, ma in ogni caso la fase di transizione è generalmente molto rapida, riducendo lo stato di acquaneve (la precipitazione mista) a pochi minuti. Ma non è stato il caso della scorsa serata, quando, mentre nella vicina Borgonovo nevicava copiosamente da diversi minuti con temperatura di 0°C, a Castel San Giovanni pioveva con qualche fiocco fra la pioggia, e questa situazione con precipitazioni semi-solide, invece di risolversi con un veloce passaggio a neve, si è mantenuta stabile con temperatura fra +1,7°C e +2,0°C.
La trasformazione definitiva in neve, seppur molto bagnata, è finalmente avvenuta poco prima delle 22:30, mentre a soli 5 km di distanza in direzione dell'Appennino si stavano già accumulando alcuni centimetri di neve. La faticosa presa di terreno del fronte nevoso si rivela però una conquista temporanea, seguita da una repentina disfatta che, a poco a poco, ricaccia la neve verso i rilievi costringendola ad una ritirata che prosegue poi per tutta la giornata di domenica, arrestandosi a quote di montagna.
L'altimetria ha giocato un ruolo limitato
Sebbene, specie negli ultimi (caldi) anni, la componente altimetrica abbia acquisito un ruolo determinante in sempre più circostanze nevose, nello specifico caso della nevicata che stiamo analizzando c'entra ben poco. Fra la parte alta di Castel San Giovanni e la rocca di Borgonovo Val Tidone intercorrono poco più di 30 metri di dislivello, l'equivalente di un palazzo di 8 piani. È pertanto molto inverosimile che questa differenza possa aver avuto un ruolo così sostanziale nella collocazione di una quota neve, e soprattutto che, mentre in una pioveva con qualche fiocco fradicio, nell'altra nevicava copiosamente con accumulo. È altrettanto fantasioso, anche ammesso un limite così netto, credere che esso possa essere rimasto stabile per così tanto tempo.
La ventilazione nord-orientale a 950 hPa
La rivelazione è arrivata in mattinata, mentre risalivo la Val Tidone alla ricerca di accumuli un po' più interessanti. Percorrendo un'insidiosa stradina a 700 metri di altezza, ho notato che la neve era accumulata sui pali della corrente elettrica dal lato rivolto a NE. Ciò mi ha parecchio incuriosito, poichè per tutta la durata dell'evento l'anemometro della mia stazione meteorologica ha rilevato una brezza da SW, ovvero aria in discesa dalle valli dell'Appennino, più fredda della ventilazione orientale mite e umida legata alla ritornante. Questa ha sì intensificato le precipitazioni, ma, essendo legata ad un fronte occluso - che ha condotto una massa già non molto fredda attorno alle Alpi, attraverso l'inospitale e mite bacino ligure - è stata accompagnata da un richiamo di basso livello (950-900 hPa) mite. La condizione di omotermia della colonna, già ardua da realizzare in presenza di isoterme di appena -1/-2°C a 850 hPa, è particolarmente disturbata da questi richiami che tendono a rimescolare l'aria nei bassi strati, poichè tendono a ristabilire un naturale gradiente termico verticale. Questo non sarebbe stato un problema se fosse entrato un fronte seguito da aria veramente fredda, tuttavia, se quella in quota è già prossima allo zero, in presenza di un normale gradiente verticale è lecito attendersi al suolo temperature ampiamente positive. Così, la ventilazione si inserisce come una "lama" calda, che per ragioni di densità scivolerà appena sopra all'aria fredda in discesa dai monti, passando così inosservata alle stazioni di terra, ma andando a danneggiare continuamente il complesso lavoro di raffreddamento della colonna fra i 100 e i 300 metri dal suolo. Ecco dunque spiegata la ragione della stasi termica in condizioni di acquaneve.
Resta da chiarire il motivo per cui, invece, si passava a neve asciutta a pochi chilometri di distanza, a parità di quota. La ragione è da ricercare nello spessore dello strato di aria calda inseritosi a quote medio-basse: procedendo verso l'Appennino, lo spessore della massa d'aria fredda in uscita dalle valli aumenta, a discapito dello spessore dello strato tiepido, inoltre si risente maggiormente dell'ostacolo costituito dalla catena appenninica. Questa si pone trasversalmente rispetto ai venti da NE, costringendoli ad una risalita (visibile anche dalla carta del modello Icon, dove la riduzione di velocità si spiega con una verticalizzazione dei vettori del vento) che ne forza così:
- un significativo rallentamento, con riduzione molto veloce del suo spessore avvicinandosi all'Appennino (va vista più come una lama molto arrotondata)
- la risalita, con conseguente processo di raffreddamento adiabatico.
La riduzione quasi immediata dello spessore dello strato caldo spiegherebbe la così netta linea di demarcazione fra neve e pioggia a parità di quota. Il raffreddamento, dal canto suo, porta, se non sottozero, quantomeno a temperature sopportabili da parte della neve. L'effetto stau che ne deriva, inoltre, incentiva le precipitazioni in prossimità e a ridosso dei rilievi, instaurando un circolo virtuoso favorevole alla sopravvivenza dei fiocchi lungo tutta la colonna.
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